lunedì 5 maggio 2014

"Il silenzio sugli innocenti. Le stragi di Oslo e Utøya" a SARONNO

«Caro Anders Behring Breivik, sappi che hai perso. Tu credi forse di avere vinto, uccidendo i miei amici e i miei compagni. Tu forse credi di aver distrutto il Partito Laburista e coloro che in tutto il mondo credono a una società multiculturale. Tu descrivi te stesso come un eroe, un cavaliere. Tu non sei un eroe. Ma una cosa è sicura: tu di eroi ne hai creati». 

Lettera aperta a Behring Breivik, di Ivar Benjamin Østebø, sedicenne scampato alla strage di Utøya.

mercoledì 23 aprile 2014

Internazionalismo, orizzonte socialista per salvare la democrazia e l’Europa

Da L' "Avanti!" 

La democrazia non è solo un sistema di governo: rappresenta un delicato insieme di valori, di principi e di ideali, una storia lunga secoli. Una storia che, pur con difetti e storture, incarna il meglio disponibile sulla piazza della filosofia politica. La giustizia e la coesione sociale, i diritti di cittadinanza e la libertà, possono convivere unicamente in un regime democratico.  Ce lo dicono i teorici della politica e ce lo dice la storia.
Ma la democrazia non è, ovviamente, l’unico sistema di governo possibile. E non rappresenta, una volta conquistata, un dato di fatto che possa trascendere dalla forza degli eventi contingenti.
In particolare, a partire dalla rovinosa caduta dell’URSS, la globalizzazione è diventata il peggior nemico dei sistemi democratici. Al di là delle opinioni sul fenomeno, che si compone senza dubbio anche di effetti positivi, la globalizzazione ha oggettivamente spostato su scala globale le dinamiche della politica, dell’economia, della finanza e del lavoro, riducendo al minimo il margine di manovra degli stati nazionali, ambito in cui la democrazia moderna si è formata e vive tutto’oggi.
Se è vero che gli stati nazionali non sono mai stati totalmente indipendenti da scelte e pressioni esterne (in particolare per quanto riguarda l’economia), la globalizzazione galoppante e l’apertura dei mercati hanno sconvolto gli equilibri precedenti e stanno mettendo a dura prova la tenuta dei sistemi democratici.
Possiamo dire, oggi, che gli stati nazionali (o almeno quelli del mondo occidentale) abbiano la possibilità di decidere in autonomia quando si parla di economia, finanza, energia e lavoro?
Se gli stati nazionali hanno perso il potere di influenzare le sfere principali della vita della società, la democrazia negli stessi sembra rapidamente avviarsi a diventare “postdemocrazia”. Un sistema in cui forma e riti democratici tradizionali vengono salvaguardati (in Italia, pare, neanche quelli), ma la sovranità reale si trasferisce dal popolo alle elite economiche e burocratiche nazionali ed internazionali.
Quali sono, dunque, le possibilità che si aprono in questo scenario, posto che una delle missioni della socialdemocrazia contemporanea deve essere quella di salvaguardare la democrazia reale nel suo massimo grado possibile?
Contrastare la globalizzazione, chiudere le frontiere a merci, capitali ed individui ed arroccarsi negli stati nazionali (che di fatto hanno già smesso di esistere) è una risposta apparentemente semplice, ma si tratta di un’impresa da novelli Don Chisciotte nazionalisti e presenta ancor più grandi pericoli per la democrazia (oltre che per la coesione sociale, che sarebbe inevitabilmente travolta dalle conseguenze di tale scelta).
La risposta della socialdemocrazia a questo dilemma, a mio avviso uno dei principali della nostra epoca,  la offre l’internazionalismo.
Se la politica, la finanza, il commercio, l’industria, l’economia, il lavoro e le persone si muovono su scala globale, anche la democrazia (e i partiti socialdemocratici con lei) dovrà cominciare ad andare in quella direzione, se non vogliamo che diventi un ricordo, una “belle époque” cui guardare con nostalgia.
Se l’orizzonte è quindi l’internazionalismo, il primo passo verso lo stesso è l’Europa.
Con le prossime elezioni europee comincerà un timido processo di democratizzazione delle strutture comunitarie (anche se l’ indicazione dei candidati alla Presidenza della Comissione ricorda il brutto pasticcio del nostrano “capo della coalizione”), ma ci vuole di più.
E la prossima legislatura sarà forse una delle ultime occasioni per intraprendere questo difficile cammino. Gli stati smettano di trasferire sovranità all’Unione e comincino a costruire una sovranità europea, comincino a lavorare all’allargamento del contratto sociale a livello continentale.
La paziente costruzione di una Federazione europea, che abbia il mondo come orizzonte, può salvare la nostra democrazia dal pericolo di derive oligarchiche e aristocratiche.
Questa, credo, sarà la madre di tutte le battaglie per la difesa ed il rafforzamento della democrazia, e i socialisti italiani hanno il dovere di combatterla, in Italia e nel prossimo Parlamento Europeo.

Riccardo Galetti

lunedì 27 gennaio 2014

Ricordando Vivà (Auschwitz 15 luglio 1943)

Dal blog della Fondazione Nenni: Ricordando Vivà

Molti non sono tornati-non è tornata la mia figliuola Vittoria-e pure domani è giorno ancora, cioè la morte stessa è un atto di vita, quando chi l’affronta, e non la teme, con il sangue sottoscrive i più alti ideali della umanità ”(Pietro Nenni ).
La terza figlia di Nenni nasce il 31 ottobre 1915 nel corso dell’offensiva delle truppe italiane per conquistare Gorizia. Nenni la chiama con un nome augurale: Vittoria -poi affettuosamente chiamata Vivà-. Ma, come amaramente commenta Nenni nelle sue pagine del diario: “il bel nome non le ha portato fortuna”. L’infanzia di Vivà fu subito segnata dal clima di odio e dalla barbarie fascista: “Faremo fare a tuo padre la stessa fine di Matteotti!”. Con questa espressione nel 1926, un gruppetto di fascisti terrorizzarono una bambina di appena 11 anni che si apprestava ad andare a scuola. I fascisti devastarono l’appartamento della famiglia Nenni. Questo avvenimento convinse Pietro Nenni ad intraprendere la via dell’esilio. La famiglia si rifugiò in Francia. Poco prima dello scoppio della guerra a Parigi Vivà sposò Henri Daubeuf.Vivà divise con il marito i rischi della lotta clandestina e furono arrestati a Parigi il 20 giugno del 1942.
Henri fu fucilato a Mont Valerièn l’11 agosto. Vivà, dopo una detenzione al forte Romainville, fu deportata ad Auschwitz. Il 30 gennaio del 1943 Nenni riceve una cartolina di Vittoria. Poche righe tracciate in fretta e assai probabilmente gettate da un finestrino del treno. Poche parole di saluto e un grido di fiducia “Nous nous reverrons!(ci rivedremo)”.Il pensiero di Vittoria non abbandona mai Nenni che nei suoi Diari la ricorda frequentemente, sempre sostenuto dalla speranza di rivederla. Degli ultimi anni di vita e della tragica esperienza nel campo di sterminio di Auschwitz resta solo una foto di Vivà, che i russi hanno inviato a Nenni.
Vivà se avesse rivendicato la propria nazionalità italiana avrebbe evitato la deportazione in Germania. Ma rifiutò, perchè volle condividere il destino delle compagne francesi. Nenni seppe della morte della figlia solo nel maggio del 1945 da Saragat, all’epoca ambasciatore d’Italia a Parigi.
Nell’agosto del 1945 Pietro Nenni incontra a Parigi Charlotte Delbo Dudach, l’amica di Vivà sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz. Il racconto di Charlotte fu straziante: Sul braccio destro delle deportate era tatuato il numero di matricola. Quello di Vittoria era il 31635. Viva aveva saputo partendo da Romainville che suo marito era stato fucilato. Nel campo fu assegnata al lavoro nelle paludi. Fu colpita dal tifo e da una complicazione nefritica. Piaghe si erano aperte nelle gambe. L’ultima volta che Charlotte la vide viva fu l’8 luglio. Nonostante il delirio pregò una compagna di giaciglio di far sapere a suo padre che era stata coraggiosa fino alla fine e che non rimpiangeva nulla.
I giornali resero omaggio alla morte di Vivà e da ogni parte d’Italia arrivarono a Nenni lettere e telegrammi. La lettera che più colpì Nenni fu quella di Benedetto Croce: “Mi consenta di unirmi anch’io a Lei in questo momento altamente doloroso che Ella sorpasserà ma come si sorpassano le tragedie della nostra vita: col chiuderle nel cuore eaccettarle perpetue compagne, parti inseparabili della nostra anima.”
Ad agosto del 1947 Nenni fece visita al campo di Auschwitz. E negli anni successivi non mancò di incontrare altre superstiti, compagne di prigionia della figlia. Scrive nel suo diario: “Mi è sembrato che chi può fiorire una tomba conserva un’apparenza almeno di legame con i suoi morti. Non così per me che penso disperatamente alla mia Vittoria e non ho neppure una tomba dove volgere i miei passi”. Nel maggio del 1971 Nenni, accompagnato dalla figlia Giuliana, fece un viaggio in Israele. A circa 25 chilometri da Gerusalemme visitarono la foresta dei martiri dove un cippo e una lapide riportavano una semplice scritta: ”Bosco in memoria di Vittoria Nenni Daubeuf 1915-1943”. Quel giorno nel suo diario Nenni annotò “Da oggi in poi ho un luogo in Israele dove venire o al quale pensare quando più forte mi assale l’angoscia per la morte crudele di mia figlia”.

mercoledì 22 gennaio 2014

Sul Renziellum

Finalmente in Italia le cose cambiano!
Vero, va detto, che se la Consulta non si fosse pronunciata avremmo ancora il porcellum, ma le principali forze politiche sono ora avviate verso una epocale riforma elettorale.


Oddio, per la verità, parrebbe che tra il vecchio sistema e il nuovo la differenza fondamentale, se non unica, sia l'esistenza di circoscrizioni piccole anzichè grandi. Il che è sicuramente molto più democratico anche se io magari non ne capisco la ragione. Poi però c'è anche l'ipotesi di doppio turno e lo sbarramento al 35% per le coalizioni, altre innovazioni senz'altro importanti a dispetto dell'apparenza, tuttavia pare che gli Avvocati Bozzi e Besostri, che col loro ricorso hanno provocato l'estinzione del compianto porcellum, non ne siano convinti; i due anticipano un possibile nuovo ricorso, qualora la legge passasse, argomentando che la Consulta aveva bocciato due aspetti specifici: liste bloccate e premio di maggioranza abnorme che, in effetti, ci sono ancora tali e quali a prima.

Io tendenzialmente mi trovo abbastanza persuaso dagli argomenti dei due legali tanto più che, a prescindere dai dettagli e dal testo quando sarà noto, sembra proprio che l'Italicum sia semplicemente un porcellum con la minima rivisitazione possibile.

Però la cosa che mi colpisce è un'altra: a nessuno è venuto in mente che, forse, non è la legge elettorale da sola a determinare instabilità? in fondo la Germania col proporzionale ha avuto 8 cancellieri in 60 anni mentre il Regno Unito, col sistema più maggioritario possibile (anche se comunque più democratico della proposta dell'italicum visto che fa scegliere i deputati ai cittadini) si trova ad avere un governo di coalizione ed ha già avuto qualche caso di elezioni anticipate.

Cioè, capisco che Renzi e Berlusconi, gli autori del compromesso, non sono tipi da fare errori del genere, ma anche con una legge ipermaggioritaria potrebbe capitare, in astratto, di avere una solidissima maggioranza il giorno dopo le elezioni e poi magari perderla. 

Ad esempio, e dato ancora per scontato che ai due autori del compromesso non capiterebbe mai, potrebbe succedere che parte dei deputati eletti col premio di maggioranza se ne andassero magari perché a uno dei leader sfugge una battuta irrispetosa che fa dimettere un viceministro o il presidente del suo partito, o che un fedele alleato si alzi sbattendo la porta al grido di "che fai, mi cacci?".

Insomma, a loro non capita, ma può capitare. Quindi forse è il caso di rispettare la costituzione prima che arrivi la Consulta ad imporlo e magari anche di guardare davvero alle cause dell'instabilità politica.

Mauro Sabbadini

venerdì 17 gennaio 2014

La città di Saronno dice NO al razzismo!

"UGUALI, SOTTO LO STESSO CIELO: E' QUANTO DICIAMO NOI SOCIALISTI SARONNESI"

I Socialisti saronnesi lanciano un appello a tutti i cittadini saronnesi, alle forze politiche democratiche della città, all'ANPI, alle comunità religiose ed etniche, alle associazioni,agli esponenti del mondo istituzionale, della cultura, dell'imprenditoria, del sindacato, del volontariato e della politica per battere il razzismo e far crescere una Saronno libera, accogliente, tollerante, dove uguaglianza e sicurezza siano garantite per tutti. E invitano tutti i cittadini saronnesi, ad unirsi ed esprimersi contro ogni forma di razzismo e di intolleranza
violenta.

Siamo onorati della presenza della Ministra Kyenge che sarà a Saronno lunedì 20 gennaio. Le esprimiamo la nostra solidarietà per il coraggio con cui sta testimoniando la sue convinzioni a favore delle politiche di integrazione e auspichiamo che nella nostra comunità non si ripetano le aggressioni e le manifestazioni di razzismo di cui è stata destinataria nelle ultime settimane. Saronno democratica e socialista non lo permetterà.

L'inciviltà politica ed il razzismo diffusi non devono contaminare la nostra comunità. Saronno ha da sempre solide radici democratiche. Saronno si è liberata il 25 aprile dal fascismo e dal razzismo. Da allora le forze politiche che l'hanno guidata hanno garantito libertà a tutti in un clima democratico e solidale. Questo è il nostro passato, ma anche il nostro futuro.

Nella nostra città i lavoratori e gli imprenditori di origine straniera svolgono un ruolo vitale nella nostra economia, contribuiscono a creare la ricchezza di cui godiamo anche noi italiani. Siamo consapevoli che esistono problemi legati alla sicurezza, ma la responsabilità di alcune derive non possono essere attribuite a tutti gli stranieri. A Saronno le comunità straniere rappresentano una percentuale significativa in rapporto alla popolazione residente. Con i nuovi arrivati vanno perseguite politiche di integrazione e vanno rigettate tutte le forme di intolleranza razzista.

Saronno dimostri lunedì ospitalità e solidarietà alla ministra Kyenge, dimostri che siamo una città in cui civiltà e convivenza civile sono ampiamente diffuse e tenga lontane le minoranze estremiste. Rigettiamo il razzismo, condanniamo le contestazioni violente, ribadiamo la solidarietà alla Ministra Kyenge, rispettiamo il principio costituzionale di uguaglianza.

Firmatari:

Giuseppe Nigro, Assessore Comune di Saronno
Anna Cinelli, Consigliere Comunale di Saronno
Riccardo Galetti, Presidente Circolo Sandro Pertini

Sottoscrivono l'appello
On. Pia Locatelli, Deputata Partito Socialista Italiano
Michele Chiodarelli, PSI Mantova

sabato 25 maggio 2013

Costi della politica e democrazia

Viviamo un momento in cui la Politica è oscurata dal giacobinismo anti-casta, attento ad individuare colpevoli e sprechi, ma distratto nel trovare soluzione ai problemi.
E' un terreno fertile per demagogia e propaganda, è un'infida palude per la Politica.

In questo clima, il pragmatico intervento del Consigliere Giorgio Pozzi su "Il Saronno" ci ha riportato per un momento con i piedi per terra. E ci permette di tracciare un utile confine, spesso dimenticato, tra gli sprechi dei cosiddetti "costi della politica" e l'investimento dei "costi della democrazia".

Finanziare (seppur talvolta in modo insufficiente)  l'attività dei rappresentanti dei cittadini, siano essi senatori, deputati, consiglieri regionali o consiglieri comunali, non è un "costo della politica", è un'investimento per la democrazia. E' lo strumento che garantisce l'accesso democratico alle istituzioni.

E bisogna stare attenti: questo è un pessimo momento per smettere di investire nella democrazia.

Riccardo Galetti